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Com’è difficile andare a scuola!

Chi sono e da dove vengono i bambini ritratti nella foto? Qualcuno è mai caduto in acqua? Cosa c’entrano con i bimbi che a breve, forse, potranno tornare a scuola?

La scuola sta per iniziare, tra polemiche e incertezze pare che i nostri bambini e i nostri ragazzi possano finalmente ritornare tra i banchi (con o senza rotelle). È da febbraio che, a causa della pandemia, i nostri figli non frequentano le lezioni in classe. Più di sei mesi di lezioni sospese e, per i più fortunati, didattica a distanza. Non era mai accaduto prima. Anche durante i conflitti mondiali la scuola aveva chiuso per brevi periodi a seconda delle zone in cui gli istituti scolastici si trovavano. Una chiusura così lunga estesa a tutto il territorio nazionale non si era mai vista.

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Com’è difficile andare a scuola!

Ebbene, i nostri ragazzi torneranno a scuola tra incognite e difficoltà e, nell’attesa di capire quali norme regolamenteranno il normale svolgimento delle lezioni, è bello ricordare come anche in passato gli studenti abbiano dovuto superare grandi difficoltà per esercitare il loro diritto all’istruzione.
Oggi l’inizio della scuola sembra appeso a un filo, ma c’è chi alla fine degli anni cinquanta a scuola ci andava davvero appeso a un filo. Ce lo racconta questa celebre immagine scattata nel 1959 da Franco Gremignani, ai tempi fotoreporter dell’agenzia Publifoto (in seguito diverrà il responsabile dei servizi fotografici del Corriere della sera).

All’epoca i rotocalchi riservavano qualche pagina per raccontare aneddoti e curiosità di un Paese sospeso tra macerie e benessere. Sospeso proprio come i bambini di alcune frazioni di Guiglia, un comune sperduto tra le sassose colline modenesi. La scuola più vicina era a Casona di Marano e per arrivarci occorreva oltrepassare il fiume Panaro, ma il ponte era stato bombardato durate la guerra, la ricostruzione richiedeva tempo e denaro e a scuola i bambini ci dovevano pur andare. Già per arrivare al fiume bisognava camminare un bel po’, ma il problema era passare di là visto che l’altro ponte, quello ancora in piedi, era distante molti chilometri. Durante l’estate quando c’era poca acqua, bastava una passerella di legno, d’inverno invece il fiume si gonfiava e le sponde si allontanavano.
Così, lì dove una volta sorgeva il ponte, qualcuno decise di tirare una fune d’acciaio ben tesa per consentire a piccole carrucole, dalle quali pendeva una specie di seggiolino di cuoio, di scivolare da un’argine all’altro del Panaro. Qualcuno poi ricorda che la carrucola occorreva portarla da casa poiché spesso venivano rubate.

Osservando la fotografia possiamo solo immaginare cosa provavano i bambini che due volte al giorno oltrepassavano quel fiume minaccioso per andare e tornare da scuola. Un misto tra eccitazione e paura? Tra gioco e timore? In alcuni tratti era sufficiente lasciarsi scivolare, in altri bisognava aiutarsi con le mani, facendo sempre attenzione a non perdere nulla di quello che si aveva addosso. Probabilmente il freddo gli congelava le mani e il naso, l’aria gelida del fiume penetrava attraverso i cappotti, sopra i calzettoni. Chissà come gli appariva lontana quella sponda e che paura avevano di perdere una scarpa o il prezioso contenuto dello loro cartelle. Forse per qualcuno era la cosa più divertente della scuola!
Sembra incredibile, ma quella teleferica che collegava i bambini da casa a scuola restò in funzione fino al 1980 e, pare, che in quasi venticinque anni di attività solo qualche bimbo si sia fatto un tuffo inatteso nel Panaro e comunque senza gravi conseguenze.

Così, nella nostra epoca iper—tecnologica con qualunque di tipo di mezzo a nostra disposizione e nonostante i nostri figli non debbano guadare fiumi appesi ad una carrucola (e meno male), sembra che la scuola sia lontanissima, quasi irraggiungibile. Dovranno, e dovremo, fare qualche sacrificio per renderla ancora una volta più vicina e più sicura e uno dei nodi da sciogliere riguarda proprio i mezzi di trasporto… Dovremo insegnare loro a tenere distanze di sicurezza, disinfettare le mani e indossare mascherine, ma in fondo siamo i figli e i nipoti di quei bimbi coraggiosi.

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