C’è stata un’epoca in cui i bambini potevano girare in bici da soli, c’era pochissimo traffico e se uno aveva la fortuna di vivere in una via secondaria, magari senza uscita, ecco che i giri in bici occupavano gran parte dei pomeriggi estivi.
Si percorreva lo stesso tragitto decine di volte, avanti e indietro, con gli amici, e lì su quella due ruote minuscola diventavamo dei poliziotti, i ladri che scappavano, dei bikers alla scoperta del mondo. Prendevamo le pozzanghere in pieno sollevando i piedi dai pedali per bagnarli il meno possibile, c’era chi legava delle striscie di stoffa al manubrio o chi attaccava un pezzo di cartone ai raggi della ruota, per sentire il rumore di un motore…. Giravamo carichi in due, senza casco, senza protezioni, il più delle volte in infradito e cadevamo, cadevamo sempre e avevamo costantemente le ginocchia sbucciate coperte di croste. Poco importava la bici era libertà.
Girare in bici significava anche avere le mani piene di morchia, perché la catena cadeva di continuo e allora bisognava mettere la bici a testa in giù e riagganciarla. C’era sempre un garage aperto che serviva per riparasi dal caldo o dal freddo e se foravi lì dentro ci trovavi una bacinella piena d’acqua pronta per immergere la camera d’aria e trovare il buco da aggiustare con mastice e una pezza di gomma.
Ora ci sono le ciclabili, il casco, le bici col cambio, i giri coi genitori, le ginocchiere, l’educazione stradale, ma un bimbo sopra una bici sarà sempre e comunque un poliziotto, un ladro che scappa o un motociclista alla scoperta del mondo.