A tutta Birba

Proxima estaciòn: ESPERANZA?

By 4 Ottobre 2013 Gennaio 29th, 2016 One Comment

Autunno.

Finalmente autunno.

Il cambio di stagione, che coincide con il consolidato inizio della scuola a regime – sia-lodato-Gesù-Cristo – e la riesumazione dei maglioni pesanti dal fondo dell’armadio, si trascina dietro un inevitabile momento di profonda riflessione personale.

Alle prime foglie ingiallite, complice l’avvicinamento del mio compleanno, entro in fase ”bilancio dell’anno passato” e “grandi progetti per il futuro che verrà”.

Il tutto, assolutamente controvoglia.

Quest’anno poi le cose si sono messe molto male: in questi ultimi mesi pensare, riflettere, scrivere, è davvero molto difficile.

 

C’è da dire che di cose divertenti ne son successe, e parecchie: la brevissima vacanza che siamo riusciti a ritagliarci in un borghetto friulano è stata spettacolare; i bambini stanno crescendo, e il loro crescere è una gioia quotidiana; infine, la mia battaglia contro i chili accumulati in questi ultimi anni è ufficialmente iniziata (e stavolta ho deciso di mettermi d’impegno).

Eppure…

 

Eppure c’è qualcosa che non va.

Questa tensione di fondo, che mi morde lo stomaco e mi piega gli angoli della bocca, non è fame.

Non è nemmeno voglia di qualcosa di buono.

 

Voi non la sentite, questa bestia nera?

Dài, siate sinceri: non posso essere solo io l’unica ad esser preoccupata.

Questa situazione non mi piace. Per niente.

Prima pagina del giornale, 23 settembre 2013.

«C’è sgomento. E viva preoccupazione» chiosava un alto funzionario della Commissione Europea a proposito della ventilata crisi di governo. Per poi far scendere la mannaia: «Siete ingovernabili».

E giù numeri, percentuali, statistiche.

Grafici, istogrammi, proiezioni. 

Scenari a tinte fosche nella terra del commissariamento.

Da diverso tempo sentivo risuonare nubi temporalesche di “mercati obbligazionari”, “larghe intese forzate”, “riforme strutturali”, “ rating sovrano dell’Italia” e “imminente downgrade” (ovviamente, senza capirci uno spread).

Poi, col fiato sospeso, il clamoroso colpo di scena non c’era stato: via all’aumento dell’IVA – gestionale aggiornato – tutti felici, soprattutto a Bruxelles.

Strano Paese, il nostro.

Tuttavia per una come me che confonde il FISCO col FIASCO, la notizia era stata archiviata in fretta.

 

Ma oggi – oggi – è suonata la campana.

Oggi, quando la radio ha passato la notizia dell’ennesima ecatombe di Lampedusa.

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Prima un numero imprecisato di morti.

Poi la prima conta: forse cinquanta. No, 80. Aggiornamento: 89.

A pranzo, mangiando un tramezzino in piedi, la tv del bar faceva scorrere l’ultimo aggiornamento: la cifra era lievitata ancora, a 94.

Ma la stima – agghiacciante – era di oltre 300.

300 morti.

 

300 corpi da cercare in profondità, con le pinne il fucile e gli occhiali,  in quel mare che non è più una tavola blu, ma è diventato un enorme cimitero subacqueo.

Un mare pieno di cadaveri, che nasconde le vite sommerse di chi non è riuscito a toccare riva.

E se i morti non sono quelli di oggi, allora sono quelli di ieri.

O della scorsa settimana.

O di due mesi fa.

 

«…tre pescherecci sono andati via dal luogo della tragedia

perché il nostro Paese ha processato i pescatori

che hanno salvato vite umane

per favoreggiamento

all’immigrazione clandestina…»

 

La voce è quella della Sindaco di Lampedusa.

Piange, e nel suo pianto leggo le parole di una vecchia versione di latino: “Corruptissima republica, plurimae leges”.

Subito dopo il telegiornale, sullo schermo scorre una pubblicità patinata di gran lusso: i bocconcini al tonno per gatti persiani, rigorosamente bianchi, cucinati al vapore.

I bocconcini, non i gatti.

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Esco dal bar con gli angoli della bocca sempre più piegati.

Mi viene da vomitare: anche nel mio tramezzino c’era del tonno.

Chissà dentro al tonno chi c’era.

Bella però, la pubblicità.

Il mondo perfetto, il mondo “altrove”, dove la pasta delle famiglie eterosessuali è sempre al dente, l’acqua delle mannequins elimina l’acqua e lo yogurt col bifidus fa impazzire di felicità l’ombelico.

 

Bella la vita nel mondo perfetto, fra i pannolini sempre asciutti e col deodorante che non fa sudare, per non parlare del dentifricio per denti più bianchi subito, immediatamente, al primo utilizzo – basta che apri il tappo e già sono più brillanti, non vedi come brillano di bianco splendore? Se non hai i denti bianchi come il pelo del gatto persiano sei uno sfigato.

 

E se sei uno sfigato, non puoi fare cose trendy, tipo – che so – l’happy hour.

Three – two – one: ready to spritz?

Dai, bevi, che ti passa.

Bevi che poi vedi come la vita, in fondo al bicchiere, è rosa.

Pianoforti rosa.

Suore rosa.

Bonazzi rosa.

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E se durante l’happy hour ti va di tentare la fortuna con gli spiccioli del resto, ricordati che il gioco può causare dipendenza patologica e che devi giocare senza esagerare, ma

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Sarà per questo piatto condito di non-realtà che l’occidente attira chi fugge dalla fame, dalla carestia, dalla guerra.

Dobbiamo sembrare il Paese dei Balocchi: nei supermegaipermercati vendono pacchi di biscotti formato “famiglia con 18 figli”, il sole splende sul bucato bianco che più bianco non si può, e tantissimi prodotti sono sottocosto.

Ma proprio TANTISSIMI.

Più di quelli che ti servirebbero.

Anzi, mentre sorseggi il tuo beverone simil-alcolico con l’oliva, sfoglia il volantino delle offerte della settimana, senza perdere d’occhio il ragazzo con la pelle scura che sta imbucando fogli colorati nelle cassette della posta.

Quello che di giorno fa un umile lavoro e di notte imperversa per il Paese rubando e delinquendo.

Quello che forse manco ha il permesso di soggiorno.

Sì, certamente è un clandestino.

Vade retro, moderno invasore barbaro,

che questa è casa mia!

 

 

E se invece i nuovi barbari fossimo noi?

Cosa abbiamo pensato di quei corpi annegati?

Io ho pensato, oggi, e molto.

Ho pensato che per loro non c’è più speranza, non c’è resurrezione, ma solo la morte.

E insieme alla loro morte, c’è anche la “nostra” morte: quella del “sistema” delle grandi ideologie, dei progetti utopici, delle religioni.

Dell’educazione, del rispetto, dell’ospitalità.

 

Lo scrivo mentre penso ai miei bambini, con la certezza che quando sarà il momento dirò loro di andarsene da qui.

Qui non è rimasto più nulla.

Non c’è più rifugio per nessuno in un posto dove la gente viene lasciata morire, e dove altri guardano la scena chiacchierando amabilmente di come cambiare una legge sul reato di clandestinità.

Questo non è il mio Paese. Questo è l’inferno.

E la vera clandestina, in questo girone infernale, è la mia speranza che le cose possano cambiare.

 

 

«Mi chiamano clandestino […]

la mia vita è proibita, dicono le autorità,

giro solo con la mia pena, la mia condanna va da sola,

e fuggire è il mio destino…»

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  • betti ha detto:

    Mettere in fila le parole che ognuno tiene dentro, tutte disordinate, è un dono.
    La verità sconvolge.