Care Italiane e cari Italiani…!
No, troppo istituzionale…
Mi rivolgo invece a te, caro anno nuovo.
Sì, dico proprio a te.
E’ inutile che fai la faccia sorpresa: il tuo predecessore, l’anno vecchio, sta per finire, perciò vedi di essere pronto, che ho un enorme carico di buoni propositi fallimentari con cui annoiarti per i prossimi 365 giorni.
Lo farò in un trionfo di pasta&fagioli, tombola coi parenti e l’inevitabile tappo dello spumante che come ogni San Silvestro mi centrerà la fontanella (motivo per cui ce l’ho ancora aperta).
Dunque, ora che stai per arrivare, ti prego di controllare bene nella tua valigia di avere due o tre cose fondamentali che ultimamente scarseggiano quaggiù: qualcosa come buonsenso, rispetto ed orizzonti.
Poi ci sono altre cose che mi servirebbero già adesso, mentre scrivo queste righe, perché è molto tempo che questi pensieri mi girano nel cuore come la macina di un mulino… e allora, sai che faccio? Oggi voglio togliermeli da dentro, questi pensieri un po’ pesanti che ho, per entrare nell’anno nuovo più leggera – una specie di buon auspicio dietetico.
Ti scriverò allora con la mente aperta e la mano libera.
Ebbene, caro anno nuovo, la sottoscritta crede fermamente che là fuori solo una piccola manciata di temerari abbia capito cosa sto facendo io, cioè per quale ideale io stia lavorando… o meglio, il valore di un’opportunità.
Orizzonti.
C’e una cosa, come ben sai, cui dedico 6 giorni alla settimana (a volte anche la domenica), per 10/12 ore al giorno. E’ il mio lavoro.
Mi occupo di abbigliamento, scarpe, giochi, attrezzature per bambini. USATI.
AH! Che brutta parola!
E se ti dico “second-hand”?
Già suona diverso, no? Ti piace di più?
Allora, se la parola “usato” ti spaventa, dirò second-hand: un po’ come dire “brodino” o “consommé”. Però ricordati, la sostanza è la stessa: lo dovrai mangiare col cucchiaio.
Non ti biasimo, sai… la parola “usato” scatena nelle persone un “non-meglio-definito” disagio esistenziale: come se tutto ciò che è stato “usato” fosse per definizione barbaro, sporco, diverso, non appartenente alla nostra comunità. Qualcosa di estraneo, cui bisogna stare alla larga.
Ma porto la maglia della mia squadra, perciò è inevitabile che io difenda a spada tratta il lavoro mio e di decine di altre persone che, come me, credono in questo mondo – quello dell’usato, del secondhand.
In questa opportunità.
In fondo, basta cambiare prospettiva.
Cambiare orizzonte.
Insomma, guardiamoci allo specchio!
Io, per esempio: vivo in una casa usata.
Mi faccio la doccia là dove altri, prima di me, si sono fatti la doccia, e – guarda un po’! – non sono stata infettata da nessun batterio mortale, né mi è spuntato del crine di cavallo sulla schiena.
Inoltre, per questa casa usata, ho acquistato un meraviglioso, gigantesco, mastodontico divano usato – ah, sapessi che storia divertente, quella del mio divano!
Lui amava lei, lei amava lui.
Ma si lasciano perché lui si innamora di un’altra, e quest’ultima, trasferendo armi e bagagli nella dimora di lui, impone con piglio garibaldino la vendita del mobilio acquistato con la lei che c’era prima.
Divano adultero compreso.
Anche il letto dei miei bambini è stato usato da un altro bambino.
E i vestiti dei miei piccoli sono, per la quasi totalità, vestiti usati, così come i loro giochi e i loro libri di favole.
In tutto questo, non mi sento diversa da nessuno: né superiore, né inferiore.
Semplicemente, scelgo il second-hand allo stesso modo in cui faccio la spesa ogni giorno: scelgo quello che secondo me è meglio per la mia famiglia non solo adesso, ma anche “domani”.
Perciò, con la consapevolezza di chi ha passato un bel po’ di tempo dietro al bancone, oggi voglio mostrarti in piccoli fotogrammi quello che quotidianamente ho visto passare sotto i miei occhi: lo farò senza romanticismo e senza iperboli, con parole semplici e sane, perché così è quello che deve uscire da queste righe: un discorso semplice e sano.
Questa mattina – la mattina di un tranquillissimo sabato post-natalizio – quando sono arrivata in Negozio mi sono guardata intorno.
Ho visto i cappotti, i piumini, i pagliaccetti.
Le culle, gli scalda biberon, i marsupi.
I libri e i giochi.
Spazi traboccanti di stoffe, di colori, di un’infinità di cose ancora perfettamente e meravigliosamente utilizzabili.
Colletti inamidati, scatole intatte, abiti immacolati.
Così mi sono chiesta (né con supponenza, né con arroganza): se non ci fosse questo Negozio, dove sarebbero, ora tutte queste cose?
sarebbero state dimenticate in uno scatolone in un garage o in una cantina?
sarebbero state regalate controvoglia al cugino, al figlio dell’amica, al vicino di casa?
sarebbero state portate in un centro specializzato per la loro raccolta?
sarebbero state gettate in un generico cassonetto dei rifiuti?
Quante di queste cose sono state comprate e indossate una, due volte, per poi essere riposte nell’armadio? Quante volte mi sono sentita dire “questo cappottino, se mia figlia l’ha messo due volte, è tanto…”? Quante volte mi sono arrivate confezioni ancora sigillate di lenzuola, tutine, completini da nascita accompagnati da “non ho fatto in tempo a metterglielo / la taglia era sbagliata / la stagione era sbagliata / è cresciuto troppo in fretta…”?
Quante stoffe incredibilmente preziose sono scivolate sotto le mie mani – organza, seta, lino – in condizioni così perfette da chiedermi io stessa “ma è davvero usato?”
Caro anno nuovo, devi sapere che qui dentro, in questo spazio, è tutto usato… ma con le forme e la sostanza di un capo appena indossato.
Talmente bello che sembra nuovo.
Un second-hand di alta, altissima qualità, che spesso trova le sue radici in aziende di cui io stessa ignoravo l’esistenza, e che hanno dedicato anni di ricerca e il lavoro quotidiano al tessile per bambini.
E’ un usato che IO seleziono, con le mie mani e i miei occhi, osservando dentro e fuori ogni singola cucitura, ogni singolo bottone, ogni singola cerniera.
E tutto deve essere perfetto: nessun difetto, nessuna macchia, nessuna imperfezione.
Perché ogni volta che scelgo, è come se scegliessi per i miei figli.
Questo è ciò che faccio – e questa è l’opportunità.
Opportunità.
L’opportunità è “(il vento che spinge le navi) verso il porto“.
Un porto di convenienza, certo, ma anche di utilità, di vantaggio.
Di occasione.
Di possibilità.
La possibilità di ridurre la produzione industriale di articoli nuovi.
La possibilità di rimettere in circolo oggetti che non hanno ancora esaurito la loro utilità.
La possibilità di incentivare gli acquisti “a km 0”, all’interno di una logica di filiera corta, orientata a una filosofia di consumo diverso ed intelligente.
Tutto in una scelta.
Che poi, non siam mica qui a pettinar le bambole…
Poco fa è venuto un signore a chiedere informazioni su come funziona il Negozio, e ha osservato che “…se questo passeggino lo vendo per conto mio, mi conviene!”
Certo che gli conviene, caro anno nuovo, ma dipende dal valore che ognuno di noi dà al proprio tempo.
Chi decide di vendere per conto proprio, ottimizza l’incasso finale, ma non tiene conto del tempo che deve dedicare a tutto ciò che viene “prima” del pagamento: mettere un annuncio – fare le prime foto – gestire i potenziali clienti che rispondono all’annuncio – scattare altre foto – indicare le misure – trattare il prezzo – organizzare un incontro e/o la spedizione – controllare il tracking – verificare il pagamento… questi sono solo “alcuni” dei passi da fare. E questo è un lavoro: non è un gioco, e nemmeno un hobby.
Certo, può succedere di vendere “al primo colpo” – è successo anche a me – ma spesso non è così.
Perché le variabili, in un processo di vendita, sono infinite… non ci credi? Prova a pensare:
- la borsa del passeggino: “si, è della stessa marca, ma non si abbina bene come colore”;
- la gonna scozzese: “è giusta in vita, ma ha l’orlo troppo corto”;
- il fasciatoio: “ha due ripiani, invece me ne servivano tre”;
- la scarpa ballerina: “si abbina bene allo scamiciato, ma ha l’elastico troppo stretto”;
- l’interfono: “ha portata 150 metri, invece mi serviva con portata 250 metri”;
- il piumino: “la taglia è giusta, ma la manica è davvero troppo lunga”;
- la palestrina: “è solo sensoriale e non musicale”;
- il pantalone: “si abbina bene alla camicia, ma non al maglione”;
- il tiralatte: “non della marca x, lo cercavo della marca y”;
- la sdraietta: “è viola, io la cercavo verde”.
…
Potrei continuare all’infinito. E in fondo, è la meraviglia di questo lavoro.
Ogni bambino è diverso.
Ogni genitore è diverso.
Siamo un bellissimo minestrone di 6 miliardi di individui, ed è da sciocchi pensare che tutto vada bene a tutti.
Per questo motivo, ciò che selezioniamo è il meglio che il mercato può offrire in questo momento, in cui tutto cambia e si rinnova vorticosamente: solo i brand più rinomati, la qualità migliore, gli articoli più recenti, il prezzo più corretto.
E a costo di tatuarmelo sulla fronte, caro anno nuovo, io vorrei che la gente capisse che il prezzo NON lo stabilisco io, così “a ufo”: il prezzo lo stabilisce un’entità perfida e suscettibile del meteo quanto la mia cervicale… e cioè: il mercato.
Sconti, promozioni, negozi on-line, svuotamenti da cessata attività e fallimenti di aziende… tutto concorre alla determinazione di questo valore, così come a fronte di marchi che non si svalutano di un centesimo neanche nelle profondità della tundra siberiana, ce ne sono altri che invece risentono in modo tangibile della “territorialità”, cioè del “dove viene prodotto”.
Però ogni articolo ha una storia da raccontare: il rarissimo passeggino modulare di nuova concezione importato dall’Olanda sarà sicuramente più quotato anche nel mercato second-hand rispetto a un classico trio “nostrano” sul mercato da 4 stagioni e ormai prossimo alla chiusura di serie… ma inevitabilmente, il primo si rivolgerà a una clientela molto più ristretta, che conosce cioè il marchio o che ha letto la guida “come scegliere il migliore passeggino della galassia per il mio primogenito”.
Insomma, è come mettere a confronto due auto: una è una Ferrari, l’altra è una Panda – la mia vecchia Panda, aerodinamica come una scatola di scarpe.
Entrambe hanno un volante, 4 ruote e un motore… eppure, sono auto profondamente diverse fra loro, nelle finiture, nelle prestazioni e, ciò che più salta all’occhio, nel prezzo.
Lo stesso succede nel mercato del second-hand.
Perciò, caro anno nuovo, una cosa ti chiedo per quest’anno, sopra tutto ciò che posso desiderare: aiuta le persone ad aprirsi un orizzonte nuovo, a darsi un’opportunità, a guardare oltre il cartellino, perché su quel cartellino c’è scritto solo un numero.
Un numero frutto di mille motivi, visibili e invisibili.
Gli invisibili te li ho raccontati, i visibili sono scritti sull’etichetta.
Fa’ che le persone guardino gli “ingredienti”, nello stesso modo in cui magari scelgono un sugo per la pasta quando fanno la spesa.
I sughi più pregiati, sono i più buoni: lasciano un buon sapore in bocca, e danno soddisfazione.
Così, anche nella scelta dei vestiti dei bambini, caro anno nuovo, aiuta le persone a guardare dentro ciò che scelgono, perché la qualità e il valore di quello che noi genitori acquistiamo per i nostri figli deve andare oltre al packaging – o al semplice fatto che c’è un cartellino nuovo attaccato.
Impariamo a guardare oltre.
Oltre all’acrilico, al poliammide e ai coloranti sintetici, esistono la lana merinos certificata, il cachemire, il cotone biologico.
E oggi sono più vicini ed accessibili di quanto ognuno di noi possa immaginare.
In tutti i sensi.
Basta un po’ di buonsenso.
E anche di buon anno.
Auguri!