E’ qui… è arrivata… la PRIMAVERA!
Finalmente!
Le vedete le finestre aperte, i germogli in fiore, le rondini in volo…?
Lo sentite, il richiamo delle grandi pulizie?
Come sarebbe “no”?!?!?!?
Le vostre tende gridano vendetta!
Forza, tiratele giù: un ammollo di tre ore dovrebbe bastare…
E poi, cosa sono quei calici impolverati?
Su, coraggio: respirate l’azzurro, piantate il basilico, aprite gli armad…
Crash!
…………….
Scatola.
Una scatola.
Ho aperto l’armadio e m’è caduta in testa una scatola.
“Ma da dove viene fuori…?”
(flashback)
…………….
Esattamente un anno fa, io e Lorenzo, con prole al seguito, abbiamo cambiato casa.
Dopo aver rimandato la decisione, nell’aria da diverso tempo, per mille motivi (primo fra tutti, la mia completa estraneità alle operazioni di impacchettamento su larga scala) un bel giorno, inaspettato ma decisivo, arrivò il momento di raccogliere le nostre cose e, come una tribù di pellerossa al cambio di stagione, migrare verso terre più fertili.
L’impresa si presentava titanica.
E avremo dovuto gestirla contando sull’appoggio della Ditta non specializzata “CE.L.FA.DA.S – S.n.C.” (“Ce La Faremo da Soli – Se Noleggiamo un Camion”) riallestendo la casa nuova con tanto di tinteggiature, smontando e rimontando ogni singolo mobile in modalità SELF e pianificando il tutto in modo da arrecare il minimo disagio ai fratellini: Riccardo all’epoca non aveva ancora 3 anni, e Francis aveva appena compiuto 6 mesi.
A pensarci, mi vengono i brividi ancora oggi: chi deve averci visto “da fuori”, avrà sicuramente pensato “quei due son fuori di testa”.
Ricordo perfettamente il giorno in cui, portati i piccoli al nido, io e Lorenzo siamo riusciti – in 8 ore – a smontare, caricare sul furgone, portare a destinazione e rimontare la cameretta di Riccardo, al grido di “stanotte DEVE dormire nel suo lettino, altrimenti resterà traumatizzato a vita!”.
3 rampe da 14 gradini a scendere,
1 rampa da 18 gradini a salire
per – credo – un migliaio di volte.
Alla sera, Riccardo mi aveva augurato la buonanotte battendomi una mano sulla spalla: “mamma, la mia cameretta nuova mi piace un sacco. Tu e papà siete fortissimi. Però adesso vai a nanna anche tu, non ti vedo niente bene…”. Aveva concluso stampandomi un bacino sulla guancia.
Non preoccuparti, adesso la mamma va a dormire, scricciolo.
Ero uscita sul terrazzo a respirare un po’ – poco dopo, Lorenzo mi aveva raggiunta.
Sembravamo le comparse del videoclip THRILLER di Michael Jackson.
Seduti vicini, odorosi di polvere e sudore, ci siamo guardati nel buio: avevo voglia di abbracciarlo, ma le spalle si erano inchiodate sul muro. Non riuscivo più a muovere un muscolo.
“Quanto stanco sei?” gli chiesi nell’oscurità.
“E tu?”
“Eh… diciamo che è dura… ma ce la faremo!”
“…beata te che sei sempre così ottimista…!” mi stuzzicò lui, poco convinto.
“Dobbiamo farcela. Abbiamo iniziato, e arriveremo alla fine… siamo già a buon punto… E’ solo questione di testa!”
“Sarà, ma per me è anche questione di schiena… mi sembra di essere stato investito da un caterpillar!”
Poche ore di riposo, e il giorno dopo si sarebbe replicato: bimbi al nido, e di nuovo su e giù per le scale: a trasportare i giochi dei bambini, la cassetta delle medicine, la dispensa.
I libri dell’Università, le biciclette, gli zaini da montagna.
I piatti, i vestiti, le scarpe.
Il divano.
Tutto.
Tanti piccoli pacchi, divisi per tipologia, dimensione, peso.
Ogni oggetto fragile imballato con cura, per non romperlo nel trasporto.
E poi, arrivati a destinazione, percorso inverso: aprire il pacco, pulire, scegliere il nuovo posto che avrebbe ospitato ogni singola cosa, mentre i bambini scoprivano le nuove stanze, sperimentando piratesche avventure negli scatoloni vuoti.
Da perderci la testa.
Ma siamo sopravvissuti.
E così come dev’essere, ad un anno dal trasloco, complice il cambio di stagione, possono capitarti in mano scatole dimenticate.
Di solito, sono quelle piccole scatoline variopinte dove si mettono un po’ di cose alla rinfusa, trovate dietro ai mobili e raccolte di corsa all’ultimo momento – bigliettini di auguri, fermacapelli, un pacchetto di fazzoletti.
E poi matite colorate, uno specchio da borsetta.
Uno scontrino della farmacia.
Riaprire una scatola così,
dopo lo stupore iniziale,
ha lo stesso sapore
della madeleine di Proust.
Soprattutto quando in mano ti capita una foto che credevi di aver perso e che, improvvisamente, quasi a tradimento, ritorna, prendendoti alla sprovvista e rovesciandoti sulla testa un secchio di tiepidi ricordi d’infanzia.
“Ehi Chicco, guarda qui…!”
Riccardo si avvicina, curioso: “Uh, ma guarda… la foto di un bambino!”
“Ehm, no, amore… non è un bambino… questa è una bambina…”
“Ma se ha la testa con i capelli corti come i miei!”
(flash-back)
…………….
Altroché se eran corti! Quell’anno – era il 1985 – alla scuola materna le epidemie di pidocchi non si contavano più… e tutte le famiglie, su consiglio della Madre Superiora, avevano deciso di allineare i bimbi con una sforbiciata drastica ma funzionale. Un bel taglietto alla “tetezca di cermagnia” per agevolare il metodico controllo giornaliero.
…………….
“Si, è vero, ha i capelli corti corti, ma è una bambina… lo sai chi è?”
“Uhm… no!”
“Guardala bene… secondo me la conosci…”
“Beh, a me non mi pare mica di conoscerla… però mi sembra davvero una bella bimba!”
Molto meglio
di una dichiarazione d’amore…
Modalità “momento di intenso trasporto affettuoso ed idilliaco verso mio figlio”: ATTIVATA.
Immagina la scena: una frase così mentre fuori il cielo è azzurro, gli uccellini cinguettano, e da qualche parte, non lontano da qui, suona una campana. Dal forno della cucina (che c’avrà pure mille anni, probabilmente va a carbone e di 5 cotture ne funzionano 2, ma a cucinar dolci non lo batte nessuno) arriva l’odore tenue e delicato del ciambellone al limone del sabato.
Such-a-perfect-day.
Con gli occhi che brillano, sussurro “Grazie amore mio! Pensa… quella bimba ERO IO!”
Silenzio.
Le campane han smesso di suonare.
Riccardo si gira: mi guarda come Miranda Priestly avrebbe guardato la povera Andrea ne “Il Diavolo veste Prada”. Serissimo, riguarda la foto. Poi di nuovo me.
Esplode ridacchiando: “Aahaha! Ma dai, mamma… cosa stai dicendo? Lo vedi che avete due teste diverse?”
Io (col labbro inferiore tremulo) non colgo subito il significato e provo a spiegare: “…ma no, dico sul serio… quella sono io… da piccola… io ero così… piccola come te…”
Riccardo: “No no, mamma, proprio non ci siamo… tu adesso sei la mia mamma, non sei più quella bimba lì. Perché sei diventata grande, sai? E quando si diventa grandi, la vita ti cambia la testa…”.
…………….
Mi merito un figlio
involontariamente filosofo,
nella sua ingenuità.
Nel suo modo di parlare, così leggero.
Si, dopo un anno passato così come lo abbiamo passato, la mia testa non è più quella di prima.
Ci siam lasciati dietro le spalle una bella tempesta, e certamente altre ne arriveranno: ma per oggi, mi godo il mare. Calmo.
E mi godo anche il cuore.
Leggero. Nel vestito migliore…
“…nella testa un po’ di sole,
ed in bocca una canzone”.
Tenera… troppo tenera… io entro nella camera di mia figlia (18 anni e 1/2), l’inferno in terra dal caos continuo e persistente e vedo appiccicate qua e là foto mie da piccola… perchè mi chiedo? Non lo sò… ma va bene così… sorrido…