A tutta Birba

Istantanee.

By 24 Maggio 2013 Gennaio 29th, 2016 No Comments

Martedì.

– 3 giorni.

E’ mattina, fa fresco per essere fine Maggio.

Tu sei appena sceso con i bambini per portarli a scuola e al nido.

Vi vedo dalla finestra, mentre attraversate il viale: Francesca tiene la mano di Chicco, lui tiene il tempo dei suoi piedini. Due zainetti colorati che ondeggiano sotto gli alberi.

Ti giri un attimo e guardi in su: hai messo la camicia bianca e la cravatta, oggi hai un appuntamento di lavoro importante, e a tracolla tieni quella  borsa stracolma di impegni, telefonate e progetti. L’hai controllata ieri sera, prima di venire a letto.

Meticoloso, preciso, ordinato.

Inevitabilmente diverso da me.

Mi vedi e ci sorridiamo, mentre con una mano tieni aperto il cancelletto.

Quando lo chiudete, aspetto ancora un attimo: sento i bambini ridere, la porta dell’auto che si chiude, il rumore del motore che si accende. Ecco, siete partiti.

Guardo l’orologio. Sono le otto e venti, il tempo di stendere la biancheria e partirò anch’io. Oggi è martedì, e come ogni martedì andrò in negozio in bicicletta.

Non farò la statale, farò la stradina che mi hai insegnato tu, quella che “taglia in mezzo ai campi”.

Tu conosci bene questo posto, perché anche se le tue radici non affondano in questa pianura alluvionale, qui hai passato più di metà della tua vita. Perciò ogni giorno, da quando siamo venuti a vivere qui, guardo questa città con occhi curiosi.

Cerco pezzi di te nelle tue parole, nel cielo, nel vento.

Scalo la marcia, i pedali vanno veloci. Mi volto indietro, sta arrivando un’auto ma è abbastanza lontana.

Mi sollevo sulla sella, scavalco il cordolo veloce, schivo una tortora ed entro in rotonda.

Dall’asfalto, vicino alla striscia bianca, spunta uno stelo verde, magro e gobboso: mi rendo conto che è un piccolo papavero selvatico quando ormai sono già oltre.

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Mercoledì.

– 2 giorni.

Stamattina ero in bagno, mi son sentita male e ti ho chiamato.

Tu sei venuto di corsa, mi hai guardata storto, poi mi hai abbracciata ridendo e quando Ricky ti ha chiesto cos’era successo hai risposto “niente di grave, la mamma si è spaventata perché ha i capelli bianchi e sta diventando vecchietta”.

Si, è vero.

Sto diventando una vecchietta.

Vicino alla porta del bagno, in un gesto di estremo masochismo, ieri ho appeso i quadretti con le istantanee del nostro viaggio in America: ogni volta che le vedo mi prende un colpo, mi è successo anche oggi.

E’ tornare a molti anni fa, a molti capelli bianchi fa.

Più tardi sono salita in macchina e sulla statale, in mezzo a quell’ingorgo interminabile, ostaggio dei lavori in corso che vanno avanti da due anni, ho sognato ad occhi aperti un’altra strada: costeggiavamo il Virgin River, l’aria era umida di pioggia, ed io ti camminavo accanto.

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Tenevo la videocamera puntata intorno a noi, e poco prima che il canyon si aprisse sulla vallata, l’ho girata su di te.

Avevi gli occhi pieni di una meraviglia che mai più,

da quel giorno, ho rivisto.

 

La paletta dell’addetto dell’Anas è diventata verde, mi fa cenno di andare avanti.

Abbasso gli occhiali, scalo la marcia, e mentre la colonna sfila davanti alle ruspe, come ogni giorno da allora mi riprometto che ci torneremo.

Su quel fiume, prima di partire, nell’angolo più wild e remoto dello Utah, anche noi abbiamo costruito un pinnacolo “rituale”, e appoggiando l’ultimo sasso sulla cima abbiamo espresso un desiderio.

I nativi della Valle dicono che nella stagione delle piogge,

quando l’acqua sale, il fiume accoglie nel suo letto

tutti i desideri, per custodirli finché non tornerai.

All’incrocio arriva una pallottola nera da sinistra: è un SUV luccicante, targa recente, un tatanka a testa bassa che strombazza arrogante come nella stagione degli amori.

Azzarda una derapata, con le ruote posteriori solleva un polverone dal ciglio della strada. Tocco il freno, sterzo un attimo, l’auto dietro di me risponde con una clacsonata di interminabili maledizioni all’indirizzo dell’animale rombante. Una mamma, sulla ciclabile, ci manda tutti sonoramente a quel paese, nessuno escluso: il suo piccolo, sul seggiolino della bicicletta, ha il viso spaventato, ci guarda tenendosi le manine sulle orecchie.

Ho intravisto il papavero sotto il guard-rail, piegato dallo spostamento d’aria.

Metto la freccia e rallento, la prossima uscita è la mia.

 

Giovedì.

– 1 giorno.

Quasi le dieci di sera, e io ho acceso il forno.

Domani è un giorno importante, e c’è una sola cosa che riesco a cucinare bene, con buona pace della nostra bilancia.

Ho preso le uova, la farina, il burro, il limone.

Poi ho cominciato a cercare lo stampino, quello da biscotti.

Eri in soggiorno, mi hai guardata con un grande punto interrogativo, mentre io, su e giù dalla sedia, affondavo la mano dietro alle insalatiere e ai bicchieri del servizio buono.

L’ho cercato dovunque… niente: son saltati fuori stampini a forma di giraffa, di elefante, di ippopotamo. A forma di campanelle di Natale, di stelle comete.

Son saltati fuori gli stampini della plastilina dei bambini.

“Ma si può sapere cosa stai cercando?!” mi hai apostrofata dal divano.

“ Niente…!  E’ che volevo farti una sorpresa, ma…” singhiozzo “…ma non trovo una cosa… sono una pasticciona…!”

“Che sorpresa volevi farmi?” ridacchi “…una torta?”

Mi giro, e vorrei incenerirti.

“Beh, dai, non guardarmi così: uova, burro, farina… alle 10 di sera… cosa pensavi di cucinare, la faraona?”

“E va bene, è una torta, ma è una torta speciale, e mi serviva lo stampino da biscotto… quello a forma di cuore… sai, quello… quello piccolo… a forma di… di cuore, insomma!”

“Ma se l’hai buttato via un mese fa!”

Gelo.

“Come… l’ho buttato via?!?!”

“Si, mi hai detto che si era arrugginito perché lo avevi lasciato in lavastoviglie. Li hai buttati via tutti: quello a cuore, quello a stellina, quello quadrato, e anche quell’altro… tutti quanti”.

“E adesso, come faccio?”

“Non puoi usarne un altro?”

“NO!”

“Ma sarà buona lo stesso, anche con un altro stampino!”

Sei inevitabilmente diverso da me.

“Ma non sarà la stessa cosa… avrei dovuto farla con i cuori!”

Madonnuzza! Farò finta che ci siano i cuori, allora! Dai, vediamo, magari fra quelli che son qui ce n’è uno che ci assomiglia…”

Abbiamo scelto uno stampino piccolissimo, a forma di albero, fra quelli della plastilina dei bambini.

A forma di albero perché domani è un giorno speciale,

sono le nostre nozze “di legno”,

perciò un albero, in fondo, ci sta bene.

Mentre spolveravo la torta, che alla fine è diventata una crostata, con lo zucchero di canna, mi hai abbracciata e mi hai dato un bacio sui capelli un po’ bianchi che ho.

Siamo andati a dormire odorosi di limone e marmellata.

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Venerdì.

Oggi.

Il papavero è imperturbabile, sotto la pioggia, su quell’angolo di strada.

Gli basta un dito di terra per vivere, è abituato alle altrui derapate, trascorre la vita fra il sole e l’asfalto, e quando il vento diventa più forte, docilmente si lascia stendere a terra.

Ho pensato spesso al papavero, in questi giorni.

Ho pensato a noi due, e ho immaginato due semi della stessa pianta.

Abbiamo avuto bisogno di un vaso abbastanza grande per contenerci, ma crescendo ci siamo sostenuti. Dopo questo tempo passato insieme, credo che le nostre radici, lì in fondo, siano ben annodate, nonostante entrambi siamo stati strappati alle certezze di una terra che ci apparteneva.

Tu mi dici sempre “ora ce lo stiamo raccontando”,

come per dire “nonostante tutto, siamo ancora qui”.

E’ vero, siamo ancora qui, siamo ancora insieme.

Noi due, che fioriamo in periodi diversi, che diamo frutti diversi.

I tuoi sono meticolosi, precisi, ordinati.

I miei sono colorati, ribelli, confusionari.

Siamo fatti di questa terra – che adesso è la nostra casa; di questo cielo – che oggi ha deciso di lavare l’asfalto facendolo diventare un fiume in piena; di questo vento – che piega insistente il papavero coraggioso.

Oggi è il 24 Maggio, e tornando a casa ho pensato ancora una volta a quel papavero.

Quel fiore di campo mi assomiglia.

Anche a me basterebbe un dito di terra per vivere,

se le mie radici fossero nelle tue.

Te lo dico oggi, il giorno della nostra quinta primavera capricciosa insieme: per oggi, per ieri e per tutto il tempo che verrà.

Buon anniversario, Lorenzo.

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