Quello che sto per scrivere forse a molti non piacerà: mi dispiace. Mi dispiace moltissimo.
Anzi… ripensandoci, non mi dispiace neanche un po’.
Premetto che si tratta di uno sfogo, di parole scritte di getto: stavo scrivendo di un altro argomento, molto più spiritoso e leggero, ma ho dovuto fermarmi, perché non riuscivo ad andare avanti.
Il motivo è questo: non riesco a tenermi dentro l’immenso dispiacere che ho provato sabato…
Lorenzo (mio marito) dice che ho sbagliato… non nella reazione che ho avuto, assolutamente sacrosanta, quanto invece nel continuare a star male per ciò che è successo.
Forse ha ragione.
Togliamo il forse, ha ragione e basta.
Ma è capitata una cosa molto grave, che in un certo modo ci coinvolge tutti.
Ho bisogno di scriverlo, perché a parole mi attorciglio, mi aggroviglio, mi ingarbuglio, …
Ho bisogno di scriverlo perché ho bisogno di esorcizzare il dèmone.
Andiamo con ordine…
Sabato sera – sabato scorso – Lorenzo è uscito dal negozio prima di me.
Lò: “Sono le sette e venti… Vieni avanti?”
Dani: “Guarda, finisco un attimo con gli addobbi e chiudo.”
Lò: “Va bene. Però ti metto il cartello e tiro giù la tendina, ok?”
Dani: “Grazie! Faccio presto, ci vediamo a casa”.
La porta si chiude. Gli mando un bacio dal vetro, lui mi risponde con una pernacchia. In fondo, anche questo è amore.
Fuori dal negozio continua il via vai… tutto tranquillo, quando all’improvviso entra una signora.
“E’ aperto!”. Non me lo ha chiesto, lo ha gridato in stile “questa è una rapina!”.
“Buonasera anche a lei… veramente è chiuso, c’è il cartello”.
“Come, chiuso?!?”
“Si, signora, chiudiamo alle 19.00…”
“E allora cosa ci fa ancora in negozio? Se il negozio è chiuso, è chiuso! Perché c’è scritto chiuso se la porta è aperta?”
Oh-my-God…!
“Effettivamente, non ho chiuso la porta, ma c’è un bel cartello, appeso sull’ingresso: c’è scritto CHIUSO…”
“Non mi interrompa! Sono entrata perché ho visto una cosa in vetrina!”
(…ussignùr, ma perché non c’è mai Lorenzo quando ne ho bisogno?)
Sorrido, un orrendo ghigno di circostanza. Non mi riesce di mentire.
“Si accomodi, le accendo le luci, signora…”
Si guarda intorno, circospetta: ha un atteggiamento che non mi piace per niente. Punta un piumino.
“Quello lì, quello bianco… quanto costa?”
“Quello in vetrina… ottanta… sì, ottantacinque euro.”
Momento di silenzio. E la signora diventa una tavolozza impressionista. Di tutti i colori. A pois.
“CoOoSaAaA???”
“Beh, è un piumino molto bello, e rifinito… in vera piuma… è del Gufo, taglia 10 anni”.
”Non le ho chiesto la taglia! Le ho solo chiesto quanto costa! E come mai costa così poco?”
Oh-oh… lo dicevo che non mi piaceva per niente, questa situazione…
“Beh, non è che costa poco… costa il giusto…”
“Non è possibile! E’ un piumino contraffatto! Lei qui ha merce contraffatta…!!!”
Un flash: Dio, trasformami immediatamente in Giuseppe e dammi la forza, perché se mi dai qualcos’altro…
“Scusi? Ma sta parlando sul serio?”
“Certo che dico sul serio… questo piumino l’ho visto a Treviso in una boutique… mi pare di ricordare… costava più di 250 euro!”
“Ecco, appunto… invece qui è a 85,00. Ed è il giusto prezzo per un abito usato.”
Mi guarda inebetita. Come se le avessi parlato con l’alito del drago. Continuo:
“Signora, questo non è un negozio convenzionale… è un negozio di second-hand… di usato…”.
Momento di silenzio. Ho un attimo di paura: è una situazione spiacevole. Ho la stessa sensazione di brivido sulla schiena che segue al fulmine che squarcia le nuvole, subito prima del tuono. Eccolo che arriva, infatti, il tuono.
“M-A-V-U-O-L-E-S-C-H-E-R-Z-A-R-E???”
Scandisce le parole come davanti a un bambino dell’asilo. Keep calm, qua le cose stanno degenerando…
“No, casomai qua quella che scherza è lei. Questo è un negozio di abbigliamento e attrezzature, per bambini, da 0 a 12 anni. Firmato. Selezionatissimo. E soprattutto USATO.”
A queste parole, come la guardia reale di Ramesse travolta dalle acque del mar Rosso che Mosè fa richiudere dietro di sé, ecco che anch’io sono travolta da un’ondata di improperi di ogni tipo: squallidi, sgrammaticati e concettualmente agghiaccianti.
“Non è possibile! Sono entrata in un negozio di abiti usati… aaaaaahhh!!!”
Oddio – penso – questa adesso sviene. Mi avvicino: “Signora, si calmi!”
“NON MI TOCCHI! Questo negozio va chiuso immediatamente! Lei fa pubblicità ingannevole… i capi che sono in vetrina traggono in inganno… la vetrina… sembra la vetrina di un negozio NORMALE!!!”
“Signora, ma cosa sta dicendo?” mi sfiora il dubbio che sia pazza.
Imperterrita, lei continua.
“Non è possibile che questi vestiti siano usati… chissà da dove vengono… sono contraffatti!”
Cosa-cosa-coooosaaaa???
“Signora, non le permetto di parlare così! Esca immediatamente dal MIO negozio.”
“Chiamerò il Sindaco! Chiamerò la Polizia! Chi vi ha autorizzato a aprire un esercizio simile? Non è possibile che esista un negozio del genere! Un negozio… di usato!!!”
“Signora, i negozi di usato esistono, abbiamo tutte le autorizzazioni di Legge. Si rivolga a chi vuole, di certo non le ho puntato la pistola alla tempia per farla entrare. Lei è venuta qui dentro da sola, e io non tollererò una parola di più. Quella è la porta”.
Manco mi ascolta. Si avvicina alla pedana dove ci sono i manichini.
“Ma la vetrina! La vetrina! A me sembrava tutto nuovo…! LEI MI HA TRUFFATA! MAI E POI MAI sarei entrata qui dentro, se avessi saputo…”
Di colpo mi trovo sulla porta. Le gambe mi ci hanno portata da sola, come un’automa.
La apro e parlo – grido – con una voce che non è la mia: “Signora! C’è un’insegna luminosa lunga 7 metri e quarantatrè con scritto che si tratta di un negozio di usato. Lei ha insultato la mia persona e il mio lavoro, i miei sacrifici e la mia famiglia. Lei non è la benvenuta qui dentro. La prego di andarsene, immediatamente!”.
Alla fine esce, fa il gesto di mandarmi a quel paese, e fa seguire ai suoi passi l’eco di numerosi insulti.
Mi tappo le orecchie. Prendo le chiavi, chiudo velocemente la porta e vado in fondo al negozio. Mi siedo per terra vicino a una sdraietta, la testa fra le mani.
Ho le guance in fiamme.
Ho il cuore che sta per esplodere.
E ho tanta voglia di piangere… ma non mi ricordo più come si fa.
Questo negozio è frutto di enormi sacrifici. Ho trascorso qui dentro mesi in cui avrei potuto starmene beatamente distesa sul sofà a guardare i miei figli crescere, visto che la mia posizione professionale “ancora” (ma per poco) me lo consentiva. Tuttavia, mi sono rimboccata le maniche, e ho scelto di cambiare, di rimettermi in gioco, proprio per dare un futuro ai miei bambini. Mi sono piagata le mani e le ginocchia per costruire tutto questo. Ho passato giorni interi su un progetto che all’inizio sembrava troppo grande per me. E questo è il risultato…
In ogni momento do il meglio di me stessa: consiglio, spiego, sorrido, e lo faccio anche – e soprattutto – quando non sarebbe giusto farlo.
E’ dura, a volte è durissima.
Ci sono giorni in cui torno a casa stravolta e ho solo voglia di silenzio.
Altri giorni in cui mordo l’aglio e dico che è dolce, perché lo sapevo che non sarebbe stato facile. Per niente facile. Ma questa è la mia strada, questo è il mio lavoro, e lo amo, come tutte le cose che faccio.
Mi stupisco di come sia stata possibile una reazione del genere a una cosa per me così naturale.
Quando vado in biblioteca, leggo libri che altri hanno tenuto fra le mani, prima di me.
Quando vado in pizzeria, mangio in piatti dove altri hanno mangiato, prima di me.
Quando vado in vacanza, dormo in letti dove altri hanno dormito, prima di me.
E anche i miei bambini, quando sono nati, sono stati messi in culle dove altri bambini avevano trascorso i giorni di degenza ospedaliera… prima di loro.
Non c’è differenza.
Non c’è proprio nessuna differenza.
Un vestito, un cappotto, un paio di scarpe, che trovano spazio in un negozio come questo, all’interno di un circuito “virtuoso”, saranno sempre valorizzati per ciò che meritano di essere. Perciò, diamo il giusto valore alle cose.
Diamo il giusto peso alle nostre parole.
Siamo pronti a farci paladini del riciclo davanti al mondo intero, e molti di noi potrebbero addirittura scommettere che l’acqua imbottigliata in contenitori di plastica riciclata ha un sapore più “buono”… perché rispettosa della natura.
Rispetto.
Che suono pieno e determinato ha questa parola.
Alzo la testa, dalla vetrina vedo le luci dell’albero di natale.
Si, anche quest’anno è arrivato il Natale.
A Natale dovremmo essere tutti più buoni, e questa sera ho avuto la prova che il condizionale è d’obbligo in una frase del genere.
Ci sono ancora tante persone che non capiscono, o peggio, che non vogliono capire, o che fanno finta di non capire…
Il mio flusso di coscienza si sta esaurendo, e lascia affiorare un grande rimpianto, che è quello di non essere stata in grado, stasera, di spiegare a questa signora “perché” esiste “LA BIRBA”.
Il second-hand non è una rinuncia: è una SCELTA CONSAPEVOLE.
Così penso a Lorenzo, a come siamo cambiati dopo essere “rinati” insieme ai nostri bambini.
Da genitori crediamo che al mercato aggressivo, invasivo e senza freni che circonda il mondo del bambino, debba affiancarsi un’alternativa: un usato di qualità, selezionato, pari al nuovo.
Un usato che porti in sé un valore fondamentale: quello dell’educazione al rispetto delle cose che ci circondano.
Ancora il rispetto.
Proprio il rispetto che è mancato stasera.
Sono quasi le otto. Spengo le luci, è ora di andare a casa.
E per oggi, basta così.
L’ignoranza non ha limiti . . . questa è una sana prova.
Non devi avere nessun rimpianto perchè è difficile spiegare qualsiasi cosa quando hai una persona sorda e ignorante.
Un abbraccio e W il riciclo, grazie a questo anche chi non ha certe possibilità riescono ad avere dei capi di altissima qualità.
Mamma Arianna
Ecco, leggo e rileggo e ho la pelle d’oca perchè sento troppo bene lo sconforto del momento. Sono più di 14 anni che faccio questo lavoro e ovviamente me ne sono capitate di ogni. L’ultima una signora ‘educatissima’ che entra con bimba piccola e un gelato in mano ad ognuna e alla terza richiesta da noi fatta di non lasciare andare la bimba in mezzo ai vestiti CON IL GELATO IN MANO la sempre educatissima signora ha letteralmente sbattuto il gioco che aveva in mano urlando diverse volte che siamo due facce da culo, io e mio marito, andandosene così… In questi momenti viene molta tristezza. Per non essere stati capiti nè rispettati (avremmo anche potuto chiederle di finire il gelato fuori dal negozio ma non lo abbiamo fatto, per gentilezza). Bene ma questi personaggi NON SONO AFFATTO I CLIENTI BIRBA. Sono persone che entrano per sbaglio e possono capitare ogni tanto ma per fortuna non torneranno più. A fronte di qualche sgradevole episodio come questi abbiamo talmente tante soddisfazioni personali da parte della stragrande maggioranza dei nostri utenti, sia fornitori che clienti, che il nostro entusiasmo in questo lavoro è sempre cresciuto anno dopo anno in maniera esponenziale. Nonostante tutto questo è e sarà sempre per noi il lavoro più bello del mondo!
…credo che lo abbiamo passato tutte questo momento…e per quello che mi riguarda anche più e più volte, ma devo dire che a parte il primo momento di rabbia dove appunto mi sono sentita sminuita e denigrata, devo dire che ho reagito con ancora più grinta!!
Primo: quella signora non ha colto la differenza tra un negozio di usato e una”boutique”…dovresti esserne fiera, obbiettivo centrato, cioè quello di non sembrare affatto un bazar o un mercatino delle pulci svuota cantine!!!
Secondo: può far scendere anche il Padreterno in persona sfoderando un “Lei non sa chi sono io” che tanto a te non ti smuove nemmeno di un millimetro!
Terzo: non c’è niente di più soddisfacente che dare il benservito a persone con la puzza sotto il naso come quelle..e tu hai fatto più che bene a metterla alla porta…nessuno si deve mai permettere di insultarci, stiamo facendo e bene il nostro lavoro, abbiamo clienti e fornitori che crescono costantemente negli anni e continuamente rinnovano la loro fiducia …e allora episodi del genere sono da ricordare così…e farci fare delle grasse risate….
e poi ricorda quella frase del film…”NESSUNO NETTE DANI IN UN ANGOLO…”
Brava Pamela!
Posto che avrei voluto essere lì con te, in terra, vicino alla sdraietta, a distanza mi sovviene la parola libertà…
Quella cui tendiamo e della quale troppo spesso ignoriamo il significato.
Figli del nostro tempo, coi carrelli della spesa carichi di claim aziendali, con l’esigenza di essere quel che acquistiamo e con la naturale propensione al divieto normativo, dimentichiamo che la vera rivoluzione, il cambiamento reale, l’unica affermazione di sè, si nasconde dietro ad una parola sola: scelta.
La scelta rappresenta il vero suffragio della nostra epoca, molto più incisiva, efficace e democratica di qualunque scheda elettorale.
Orfani del diktat collettivo ci si sente spiazzati e ci si appella ai 3 gradi di giudizio, e il gelo si percepisce…
Liberi, o quasi.
Buttati sull’aglio Dani, non sarà dolce, ma dicono abbia la proprietà di tenere lontane le streghe, lasciando spazio alle fate (ignoranti)…
Dani sono ignoranti pieni di soldi (ebbene si In Italia ce ne sono ancora pieni di soldi da buttare) che non riciclano nemmeno la spazzatura a casa loro, non te la prendere sei bravissima, sei stata anche gentile a farla accomodare, questa cafona perchè solo di una cafone si tratta e anche ignorantissima che non sa leggere una scritta fuori, forza dani siete grandi bravi e ce la state mettendo tutta non ti sconfortare vai avanti a testa alta e con il sorriso perchè per ogni cliente maleducato ce ne sono cento educanti e gentili qualcuno anche simpatico, non starci male sorridi pensa quanta pubblicità gratuita, nel bene o nel male l’importante è parlarne ( comunque secondo me era un po’ pazza tutto sommato no?!?)
…volevo dire mette!!!
Ti lovo moltissimo, Pam! <3
Credo che comunque la reazione della “signora” in questione sia anche “figlia” dei nostri tempi… non voglio fare l’avvocato del Diavolo, e forse parlerò da vecchietta, ma vado a memoria, e credo che 30 anni fa – non sto parlando della rivoluzione francese – la vita trascorreva in modo diverso.
Ho vissuto con i miei nonni, e me lo ricordo molto bene: erano contadini, avevamo qualche gallina in cortile, a natale si “copàva el porseètto”, ed era la cosa più naturale del mondo. Loro, che avevano visto gli strascichi della prima guerra mondiale, vissuto una dittatura e affrontato l’orrore della seconda, erano molto più felici degli adulti che vedo oggi.
Tutti di corsa, tutti affannati, tutti agitati.
I miei nonni ringraziavano il Signore per il pane messo sulla tavola, guardavano l’ombelico della Carrà con sentimenti contrastanti, si emozionavano per il Festival di Sanremo.
Ci guardavano crescere, con la rudezza della gente di campagna, sognando per noi un mondo migliore.
Ma non credo avrebbero voluto “questo” mondo.
Certo non pretendo di tornare a illuminar le notti d’inverno col lume a petrolio, però cerchiamo tutti – io per prima – a respirare un pò di più o, come diciamo da queste parti: “moèmoghe un pònto”.
Che significa, in senso letterario, scucire l’orlo di un vestito troppo stretto che non ci fa muovere, che ci costringe, che ci soffoca.
In fondo, non solo in senso letterario.
Buona vita a tutti.
Sì, anche alla pazza signora del sabato sera.
Ma perchè non ci sono mai quando entrano questi personaggi…mi sarei proprio divertito con questa signorotta…borghesotta…e come dice nostro figlio Riccardo: “Pirococca”…che non si sa bene cosa voglia dire ma ci stava bene! Comunque sia ” Non ti curar di loro, ma guarda e passa”
eh già.
peccato non sapere l’indirizzo a cui potere inviare uno dei rotoli di carta igienica con gli auguri.