“Mamma? Mamma dove sei?”
(Pausa di 0,5 millisecondi, prima del richiamo del tuono)
“Insomma… MaMmMmAaAaAaAaaa!!!”
Tento di rispondergli senza soffocarmi con lo spazzolino: “Ma non gvidave! Zono gui… im bagno!”
Ma Ricky non ne vuol sapere… Bussa a piene mani, tenta di aprire la porta. Grazie a Dio la maniglia ha l’ingranaggio rigido come il manico di una scopa.
“Mamma, uffa, la porta è dura… mi apri?”
“NO!”
“Dai, mammina… per piacere piacerissimo!”
“Ho detto no! Quando la mamma è in bagno siete gentilmente pregati di fare qualcos’altro…”
“Ma io voglio vederti… allora mi siedo per terra e ti aspetto. Cosa stai facendo di bello?”
Finisco di lavarmi il viso.
“Eh, guarda… sto raccogliendo le margherite… ”
Ricky: “Uh, non ci credo! In bagno ci sono le margherite?”
“Ma no, amore! Non ci sono margherite… dicevo così per dire… lascia perdere…”.
Apro la porta con i capelli ancora bagnati “…MA! Cosa ci fai ancora in pigiama? Guarda che arriviamo in ritardo anche oggi! Su-su, presto che è tardi! Dov’è papà?
“Si sta facendo la barba…”
Sento fischiettare nel bagno di fronte “Lalalalà…ah bravo Figaro, bravo bravissimo…”.
Ed è solo lunedì…
“Bene. Dunque… adesso organizziamoci… “ dico, mentre tento di spalmarmi sul viso, con poca convinzione, una crema che promette miracoli.
”Abbiamo esattamente venti minuti per uscire da qui e andare a scuola… Praticamente, non ce la faremo mai… hai preparato lo zainetto? E tua sorella, dov’è finita?”
“Non lo so… ”
“Come non lo sai? Dove si è ficcata adesso… Francis…? FRANCESCA?”
“Franceeeescaaaa!” mi fa eco Chicco. “Uh, eccola lì, mamma!”
“Lì dove?”
“Lì… nella lavatrice”.
Francis si gira. Ha ancora il busto nell’oblò. Bofonchia qualcosa, sorridente, ciucciando con somma soddisfazione qualcosa… un calzino.
“Ma insomma!!! Sei peggio di un San Bernardo! Ieri le ciabatte, oggi un calzino… cos’altro vuoi mordere?”
La voce di Lorenzo mi raggiunge dal bagno “…guarda che ieri, oltre alle ciabatte, ti stava mangiando anche il tuo reggiseno…”
“QUESTO E’ IL COLMO! Francis, VIENI QUI!”
Faccio per avvicinarmi, ma lei è più veloce di me: socchiude gli occhi, prende il calzino con una mano e lo lancia nell’angolo più remoto dello sgabuzzino.
L’angolo dove la sera stessa, illuminati da un’intuizione, io e Lorenzo scopriremo una Comune di calzini spaiati, naufraghi sopra un atollo di stracci dimenticati e circondati da un mare di polvere.
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Cambio scena.
Freddo, gelo. Il parcheggio della Scuola è stracolmo, e io non trovo niente di meglio da fare che sacramentare ad alta voce…
“Siamo in ritardo anche oggi… miseriaccia!”
“Mamma, hai detto miseriaccia?”
“Eh? Ah… si, l’ho detto. Perdonami Ricky, non dovevo… è una parola brutta e tu non la devi dire…”
Metto la freccia, accosto vicino alla fermata dell’autobus, è l’unico posto libero…
“Posso dire sacripante, mamma?”
“Eh? Sì, sacripante va bene…”
Mannaggia, se mi beccano i vigili…
“E ussignùr?”
“Uhm! Sì, va bene anche questa…”
Metto le 4 frecce, sono solo cinque minuti…
“E porca vac…”
“Riccardo! Adesso basta… andiamo, su!”
Scendiamo. Saltiamo da una pozzanghera all’altra, di corsa, fino alla porta d’ingresso. Poi nel corridoio. Uff, siamo dentro!
“Sia lodato Gesù Cristo” mi accoglie la Madre Superiora, indicando con indulgenza l’orologio.
“Eh? Ah, già… sempre sia lodato, Madre! Scusi il ritardo…”.
Di fronte a lei, come ogni mattina che Dio manda in terra, c’è lei: La Pavona.
“Ci siamo svegliate col piede sbagliato anche oggi, eh?” mi grida dietro, stridula, mentre vado verso l’armadietto.
“Sai dove vorrei appoggiarlo, il piede, brutta antipatica?” mormoro fra me e me.
“La Pavona” è una delle mamme a capo del Consiglio di Istituto, nonché genitrice di una bimba in classe con Riccardo.
Stando alle dinamiche relazionali attualmente in corso, i due bimbi si adorano reciprocamente: prove tangibili sono i disegni, gli abbracci e le dichiarazioni verbali di imperituro amore.
Per questo motivo, La Pavona potrebbe trasformarsi in mia potenziale consuocera: un cataclisma pari solo al volo radente di un colombo dissenterico sulle lenzuola di lino appena stese al sole.
Siamo più o meno coetanee, e l’età è l’unica cosa che ci accomuna.
Fa parte di quel genere di donne che, ogni mattina, quando si alzano e si guardano allo specchio, si dicono “Dio, come sono bella!”.
Forse dovrei farlo anch’io, ma avrebbe tutta l’aria di una colossale presa per il sedere (io, che più che a una Barbie somiglio a una Pimpa…).
Lei, invece, può farlo: e ne ha tutto il diritto. E’ una donna bellissima: trucco perfetto, corpo perfetto. E certo può permetterselo perché, di lavoro, La Pavona fa la mantenuta.
Ha due domestiche, un cuoco personale, una baby-sitter di madrelingua francese.
Non ultimo, è un’eccentrica frequentatrice della Parrocchia: ricordo di averla vista alla recita di Natale, mentre si faceva il segno della croce agitando le mani, come per far asciugare lo smalto, agghindata con un miniabito da Burlesque che avrebbe fatto suonare la carica persino alla Tromba all’Arcangelo Gabriele.
Siamo entrate in rotta di collisione, inevitabilmente, durante il Consiglio di Istituto.
Noi “mamme equilibriste” stavamo discutendo sulle iniziative di autofinanziamento per il secondo semestre, quando a un certo punto lei, sfoggiando la sua condizione privilegiata come una benedizione, annunciò squillante che, se il problema era “come” reperire dei fondi per le attività dei bambini, poteva “staccare un assegno per le necessità della scuola”.
Ammutolite, noi mamme equilibriste ci voltammo a guardarla. Giusto in tempo per vedere la sua bocca dipinta incrinarsi in una smorfia di malcelato disgusto, con cui ci diede il colpo di grazia: “Senza offesa, eh, ragazze… ma con i vostri mercatini a base di torte e ciclamini, non andrete molto lontano…“.
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A cosa ho pensato, in quel momento? Difficile dirlo…
Ricordo diversi “ma chi ti credi di essere?”, il lancio di una borsetta, una porta sbattuta, alcune mamme equilibriste ferite nell’orgoglio.
Una di queste aveva i pugni chiusi e il viso in fiamme.
Ero io.
Perché sapevo che, alla fine della fiera, “pecunia non olet”.
Ma ricordo anche di aver pensato con tristezza al marito della Pavona.
Un uomo che, senza ombra di dubbio, aveva avuto molte fortune… ma probabilmente non quella di poter cercare, insieme a sua moglie, i calzini smarriti dietro una lavatrice.
Così, ho realizzato che, in fondo, se è vero che il denaro non puzza, è altrettanto vero che i soldi non comprano la vita – “money can’t buy life”.
O almeno, così diceva molti anni fa un certo signore, che di nome faceva Bob.
Il cognome, ve lo lascio immaginare.
Tu lo sai sì che il ns programmatore suona nei Big Bamboo Bob Marley Tribute Band… 😉
…adoro! Basta che non suoni i bonghi…
Io vado in down dopo un po’. Sapevatelo.