Mi ricordo di un condominio tardo borghese, di due vecchi ripiegati su sé stessi e di due donne in missione per conto dell’ordine. Il palazzo provava a sembrare elegante, i vecchi provavano a impastare la terra, le donne non provavano niente. I primi erano, forse, stati messi lì da figli troppo diligenti, strappati da una casa di campagna instabile con una stufa economica al piano terra.
Se solo non fossero stati tanto amati avrebbero continuato ad allevare galline e conigli fino al tramonto della ragione. Ma la ragione dei parenti prese la via del trasloco cittadino. Così, i nostri, estirpati dalla discendenza, si erano ritagliati un fazzoletto di quello stabile pericolante nel condominio patinato. Un orto monolocale. Giusto per coltivare due pomodori e una zucca per il passato di verdure. Nel loro passato, però, c’era il dopoguerra, la miseria e la fatica e, loro, non volevano convincersi che l’acqua che usciva dal tubo di gomma del garage fosse giusto utilizzarla per innaffiare. L’acqua era preziosa. Loro la tiravano sù dal pozzo, mica giravano un rubinetto e lei compariva. Così, per innaffiare l’orto usavano l’acqua di recupero, quella che avanzava dopo aver lavato i piatti. Riempito il secchio lo portavano giù e la sera, con quell’intruglio, dissetavano le quattro zolle rivangate. Avevano sempre fatto così.
Le due donne guardavano.
Erano impegnate infatti nella nobile arte dello scostamento millimetrico della tenda, un movimento impercettibile, che solo i più attenti notavano. Un fruscio, un leggero spostamento d’aria e loro dominavano il mondo sottostante, le vedette del cortile.
Però quell’acqua putrida di lavatura a loro non andava giù; non che dovessero berla s’intende, le infastidiva vederla, sapere della sua esistenza. L’appretto delle tende le rendeva così rigide, loro non le tende, che si riunivano in consiglio per deliberare. Quell’acqua era un insulto all’igiene, quei due origami di pelle e ossa, con le loro puzzolenti sciacquature, avrebbero potuto contrarre delle malattie (eh sì, era anche per il loro bene), per non parlare del proliferare di batteri a quattro zampe e del decoro della palazzina. Inaccettabile. Si appellarono all’ordine superiore senza ottenere la risposta desiderata, no, secondo l’amministratore del mattone, non esisteva un articolo nel regolamento condominiale che vietasse quella becera attività di riciclo.
Era un problema. Un problema di dimensioni colossali.
Avrebbero dovuto agire. Iniziarono col tallonare l’uomo, spiegandogli che quella era una pratica obsoleta e pericolosa, lui rispondeva con qualche monosillabo, si stringeva nelle spalle e se ne andava borbottando frasi sull’assoluta inoffensività del suo secchio. Provarono a convincere la vecchia minacciando di far bonificare l’area a loro spese, con l’invio di regolare fattura. Fu lì che la nonnina vinse la forza di gravità che la costringeva a camminare china su sé stessa, e, sollevando il volto, guardó da vicino le donne. Streghe, ecco cos’erano quelle due, streghe. Si spiegava anche il loro girovagare perennemente armate di scopa, erano due streghe.
E come tali si comportarono. Di notte, quando tutti erano più o meno assopiti nei sogni catodici, si davano appuntamento all’ombra delle zucchine, svuotando chirurgicamente il contenuto dei secchi nel torrente sottostante, con buona pace delle pantegane lì domiciliate. C’è chi giura addirittura di aver udito, in quelle notti, spettrali e misteriose risate. Ristabilito l’ordine e igienizzato ogni centimetro quadrato di superficie, le donne, tornavano poi nell’avamposto del secondo piano, indossando il casco fresco di messa in piega e dedicandosi alla loro attività prediletta di osservazione.
Il vecchio, dall’alto delle sue grinze, malediceva quella dimora ed i suoi parassiti. Le chiamava vipere, come quelle serpi che spesso si era trovato ad affrontare nei suoi anni passati.
Quei rettili, però, lui li conosceva bene, se mai avessero provato ad attaccarlo era per difendersi. Queste invece, erano attaccate unicamente al loro piccolo feudo, tanto da appiccicare al muro l’ennesimo trofeo di caccia conquistato.